UNA CULTURA DEL LAVORO PIÙ UMANA /4 – Dal proposito al profitto e ritorno

Dal proposito al profitto e ritorno

3.1. Il paradosso del profitto per il profitto

La letteratura organizzativa è stata ossessionata dalla Corporate Social Responsibility, ma in molti sono convinti che l’unico risultato reale sia stato dare un contributo al reparto pubbliche relazioni che poteva fornire alla stampa e agli stakeholders una notizia per far parlare positivamente della propria organizzazione. Ogni sito aziendale riporta i valori fondanti e praticamente tutti leader aziendali sposano ideali come visione, impegno e crescita delle persone. Eppure le aziende realmente orientate dal proposito sono rare.                                                                                                    “Penso che sia perché pochissime persone apprezzano la natura dell’impegno necessario per costruire un’impresa del genere” come ha confermato a Peter Senge il top manager William O’Brien. (Senge)

Abbiamo immolato una generazione di manager, consulenti e accademici a creare indicatori, sistemi di controllo integrato, modelli di qualità e non è facile ammettere che quello che realmente conta è un fattore umano: il proposito di vita dell’organizzazione, che poi è il perseverante perseguimento del proprio contributo al mondo, dall’impiegato a cliente al Paese all’Ecosistema (e in breve a quella parte dell’Universo a cui stiamo accedendo). 

Lo leggiamo sul Financial Times: le organizzazioni con i migliori risultati economici non sono quelle più orientate al profitto, ma quelle che perseguono il proprio proposito. I gruppi di investimento che controllano 114 miliardi di dollari lo stanno già dicendo ai leader: dovrebbero lasciare che sia il proposito, non i profitti, la forza trainante delle loro attività, anche se questo significasse sacrificare un po’ di redditività per dipendenti più felici, clienti più soddisfatti o comunità più pulite. «C’è stato un punto di svolta tra gli investitori – afferma Virginia Harper Ho, ricercatrice all’Università del Kansas – Le aziende possono essere redditizie e fare del bene allo stesso tempo». Lo dice persino Black Rock che ha distribuito una lettera ai manager delle proprie azienda in cui invita a tornare a focalizzarsi sul proposito come driver per il successo nel lungo termine (Pearlman). 

«Credo che coloro che sbandierano l’idea che il proposito sia alla base dei profitti abbiano ragione – aggiunge Kate Shattuck, co-fondatrice e co-leader dell’Impact Investing Center of Expertise di Korn Ferry – Quando sbloccano il potere dello scopo, un’azienda e la sua leadership stanno liberando il potenziale illimitato delle loro persone». Uno studio di Korn Ferry ha rilevato che mentre le aziende di prodotti di consumo orientate allo scopo hanno aumentato le loro vendite a un ritmo annuale del 9,9% dal 2011 al 2015, i loro colleghi hanno registrato in media solo un tasso di crescita del 2,4%. Claudine Gartenberg, professore presso la Wharton School dell’Università della Pennsylvania, afferma che le azioni di aziende orientate al proposito e in cui la dirigenza è impegnato al punto da implementare processi, procedure e monitoraggi per raggiungerlo, superano regolarmente le aziende concorrenti. 

Il proposito è una certezza in tempi di incertezza (Purpose Manifesto) perché è in grado di attivare delle leve del successo così umane che sfidano la logica. Nel suo nuovo libro nel quale ha analizzato i casi di imprese di tutti i tipi che hanno raggiunto risultati sorprendenti rispetto al resto della concorrenza, il guru delle imprese visionarie Jim Collins, ne ha identificate tre (che provo a tradurre): 

  • Disciplina appassionata (fanatic discipline): è quella perseveranza che solo le persone convinte della forza dei propri propositi riescono a mantenere, in pratica un mix di fede e tenacia.
  • Creatività empirica (empirical creativity): in un mondo incerto e ambiguo, le “u” e “a” di VUCA, il più grande rischio è la paralisi per analisi, mentre le aziende di successo si fanno un’idea degli scenari, implementano soluzioni che finiscono sul mercato in tempi brevi e poi adattano prodotti e servizi grazie ai feedback dei clienti.
  • Paranoia produttiva (productive paranoia): se qualcosa ci racconta la “v” di volatile, è che non potrai mai sapere quanto dura l’insuccesso e nemmeno il successo e bisogna saper mantenere alti sia la guardia che l’entusiasmo di tutti coloro che creano valore dentro e fuori l’azienda.  

3.2. Una nuova coscienza

Si tratta dunque del potenziale del capitale umano che ci è tanto caro quello di cui stiamo.  Abbiamo già visto che esiste una relazione misurabile dell’ordine del 10 a 1 tra soddisfazione dei collaboratori e aumento dei profitti. Sappiamo anche che il cosiddetto disengagement ovvero la mancanza di coinvolgimento dei collaboratori costa intorno ai 500 miliardi l’anno alle imprese solo negli USA (The Conference Board). Secondo un sondaggio Korn Ferry del 2017 condotto su oltre 1.000 reclutatori, i candidati al lavoro stanno prendendo le decisioni finali sul lavoro in base alla cultura e allo scopo di un’azienda piuttosto che al pacchetto di vantaggi effettivo.

Lo schiacciante 86% dei top manager conferma che oggi i migliori talenti sono più inclini a lavorare per aziende che hanno un impegno dimostrato nei confronti delle questioni sociali rispetto a quelle che non lo fanno.

Eppure sono poche le aziende che davvero si stanno impegnando su questo fronte: il 72% dei millenials intervistati da Gallup afferma di non vedere nelle proprie organizzazioni un proposito o un impegno autentico nella direzione di quello. 

Come la chiama Collins, la nobile aspirazione a lasciare un mondo migliore è nel DNA della cultura delle nuove generazioni. Essere preparati alle sfide del mondo che verrà significa essenzialmente essere pronti a offrire a collaboratori e clienti del futuro un nuovo paradigma di impresa in cui identificarsi. Il salto è già stato compiuto e la società si sta strutturando intorno ai paradigmi della coscienza teal, una coscienza sistemica che risponde e genera un contesto di interdipendenza e che offre la risposta alle sfide planetarie attraverso quella etica dell’integrazione che ha fatto di Mandela uno dei primi esempi (in senso cronologico) di leader di questo tipo di coscienza. Le nuove generazione e alcuni tra noi, potranno sentirsi sorprendentemente identificati nelle caratteristiche di questo tipo di pensiero: considera l’ego come la più seria minaccia alla crescita; presta continuamente attenzione all’interazione tra pensiero, azione, sentimento e percezione, nonché alle influenze e agli effetti su individui, istituzioni, storia e società; tratta il tempo e gli eventi come simbolici, analogici, metaforici (non semplicemente lineari, digitali, letterali). 

3.3. Una leadership orientata al proposito

«Quando i collaboratori sentono che come impresa sei con loro nella realizzazione dei lori sogni, loro saranno con te nel realizzare il tuo» nota Craig Handley, fondatore di Listen Trust, una impresa che per resilienza ha pochi pari. In effetti, un collaboratore a tutti i livelli potrebbe essere in grado di recitare a memoria la missione. Ma solo quando la sente come propria ed è messo nella condizione di dare il proprio contributo, allora il lavoro diventa un’esperienza che sostiene il suo impegno nel tempo. (Gallup)

Il concetto di business del valore condiviso, che viene insegnato in centinaia di college e università, ha avuto un impatto sulle nuove leva che sono orientate allo scopo sociale aziendale (Covestro), ma come fare in modo che ciò avvenga?

La soluzione è semplice, ma non così ovvia. Come John Seddon, professore in visita presso la Hull University e amministratore delegato di Vanguard Consulting, osserva, in ogni organizzazione, che i suoi dipendenti se ne rendano conto o meno, «esiste una relazione sistemica tra proposito (quello che siamo venuti a fare qui), misure (come sappiamo che lo stiamo facendo) e metodo (come lo facciamo)». Poiché i clienti soddisfatti sono l’unica fonte di successo a lungo termine, le misure devono essere correlate al proposito definito dal punto di vista del cliente. Ma non solo: dato che – come abbiamo visto – cliente soddisfatto significa employee experience gratificante, un ambiente di lavoro che mette le persone al centro è, di nuovo, il principale obiettivo per arrivare al successo.

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Harvard Business Review: The Business Case for Purpose (pdf)

Caulkin, Simon: Companies with a purpose beyond profit tend to make more money, Financial Times

Cavestro, i3 Index 

Collins, Jim; Hansen; Morten T.: “Great by Choice”

Komm, Asmus et al: The new possible: How HR can help build the organization of the future, McKinsey Blog

Senge, Peter et al: “The Dawn of System Leadership, Stanford Social Innovation Review

Pearlman, Russell: Profit vs Purpose: The Duel Begins In surprising fashion, Wall Street is telling companies to take, Briefing Magazine

Thomas, Andrew: “3 Big Reasons Why Purpose Leads to Profits”, INC Blog

Purposetoprofit.com.au: Purpose Manifesto 

The Conference Board: DNA of Engagement